
Co-progettare la cultura: etica e complessità per un museo più accessibile
Come smettere di pensare il museo ‘per tutti’ e cominciare a pensarlo ‘con tutti’
di Miriam Mandosi
Negli ultimi anni si è parlato molto di accessibilità culturale, inclusione e partecipazione. Parole che hanno trovato spazio nei documenti istituzionali, nei bandi e nei convegni, ma che talvolta rischiano di diventare formule ripetute senza piena consapevolezza. Eppure, dietro questi concetti si muove qualcosa di profondo: la trasformazione di un’idea di cultura che non si limita a essere fruita, ma che viene costruita insieme, diventando un bene comune e uno strumento di benessere sociale.
In questo contesto, la coprogettazione non è solo una metodologia, ma un modo di intendere i processi culturali. È un approccio che mette in discussione il modo stesso in cui pensiamo ai musei, agli spazi culturali e al loro rapporto con le persone. Coprogettare significa costruire progetti a partire dal confronto reale tra soggetti diversi, portatori di esperienze, competenze e aspettative differenti. Significa sedersi attorno a un tavolo – fisicamente o metaforicamente – e decidere insieme cosa fare, come farlo, per chi e con chi.
In ambito museale, questo approccio può generare trasformazioni profonde, soprattutto quando si affronta il tema dell’accessibilità. Non basta aprire le porte di un museo per dire che è ‘per tutti’. L’accessibilità non è solo una questione di barriere fisiche o strumenti tecnologici: è una prospettiva culturale e sociale, un modo di ripensare l’esperienza museale affinché sia significativa per chiunque vi entri. Significa chiedersi: le persone, nelle loro peculiarità, possono vivere un museo come uno spazio abitabile? Possono sentirsi protagoniste della narrazione?
In questa fase, quella che precede la definizione dei percorsi e la produzione dei materiali, diventa cruciale tradurre i principi del Design for All in pratiche concrete attraverso la coprogettazione. Come sottolinea l’Associazione Design for All Italia, progettare significa creare soluzioni «per l’individuo reale, inclusive ed olistiche, che valorizzano le specificità di ognuno». Il Manifesto del Design for All ribadisce che «il design per tutti non limita la creatività: anzi, la stimola» e che «l’accessibilità non è solo fisica ma è anche percettiva, sensoriale e culturale». Questo richiamo rafforza l’idea che la fase progettuale non sia solo un momento tecnico, ma un impegno etico: progettare musei, spazi e percorsi secondo il paradigma del Design for All significa rendere la cultura davvero accessibile, partecipata e generativa.
Avril Accolla, nel suo volume Design for All. Il progetto per l’individuo reale, descrive la progettazione inclusiva come un percorso articolato in fasi, che vanno dall’analisi dei bisogni, alla definizione dei concept, fino alla prototipazione e alla verifica delle soluzioni. Questo modello ci ricorda che la progettazione accessibile non è un atto singolo o lineare, ma un processo continuo di ascolto, confronto e aggiustamento, in cui le idee vengono messe alla prova, discusse e migliorate insieme a chi le utilizzerà realmente.
In pratica, significa iniziare con un’analisi condivisa dei bisogni, coinvolgendo utenti, comunità, educatori, tecnici e operatori museali. Workshop e laboratori di coprogettazione diventano momenti preziosi di dialogo, in cui le esperienze e le aspettative dei partecipanti si trasformano in indicazioni concrete per il progetto. È un’occasione per portare alla luce criticità e opportunità che altrimenti resterebbero invisibili. Segue la progettazione inclusiva degli spazi, dei linguaggi e dei percorsi, dove l’Universal Design diventa il cuore del processo creativo. Qui l’accessibilità non è un’aggiunta posticipata, ma una lente con cui osservare e ripensare tutto il progetto: dai percorsi espositivi alla comunicazione, dai supporti multimediali ai materiali didattici. Infine, la fase di iterazione e prototipazione partecipata consente di testare le soluzioni, raccogliere feedback e perfezionarle insieme ai partecipanti. In questo modo l’accessibilità smette di essere un ‘extra’ e diventa parte integrante del design stesso, capace di arricchire l’esperienza di tutti.
Questa fase progettuale non è mai soltanto tecnica: è etica, strategica e riflessiva. Integrare la copresenza delle voci e delle competenze fin dall’inizio significa riconoscere che ogni contributo può trasformare il museo, rendendolo più accogliente, vivo e in dialogo con le comunità che lo abitano. È in questo incontro tra progettisti e visitatori, tra istituzioni e persone, che il museo diventa davvero uno spazio condiviso, capace di espandere cultura, partecipazione e benessere sociale.
Finora i musei hanno tradizionalmente parlato a un pubblico simile a chi li gestisce. La coprogettazione rompe questa simmetria, invitando chi solitamente resta ai margini a partecipare all’ideazione di contenuti, percorsi e linguaggi.
Qui si apre il legame anche con il welfare culturale: un museo accessibile e coprogettato non è solo più inclusivo, ma diventa uno strumento di benessere, coesione sociale e apprendimento. I progetti culturali assumono valore non solo estetico o educativo, ma anche sociale: contribuiscono a rafforzare reti, creare comunità e generare senso di appartenenza e partecipazione attiva.
La coprogettazione accessibile nasce dall’ascolto e dalla valorizzazione di ogni persona coinvolta. La diversità diventa una risorsa, motore di creatività e innovazione, capace di generare nuovi linguaggi e modi di vivere la cultura. I processi devono essere trasparenti e inclusivi, chiari in ogni fase dall’ideazione alla valutazione. La trasparenza non è solo un requisito, ma una scelta etica che costruisce fiducia e consapevolezza. La coprogettazione si fonda su relazioni di fiducia e corresponsabilità, richiede tempo, cura e attenzione, e riconosce che l’accessibilità non è un insieme di norme o strumenti, ma un valore culturale e sociale. È anche un processo di apprendimento condiviso, basato sulla sperimentazione e sull’errore costruttivo, che arricchisce partecipanti e istituzioni. La conoscenza prodotta deve essere restituita e condivisa, alimentando una cultura dell’accessibilità che si diffonde e si rinnova nel tempo.
La coprogettazione accessibile non si conclude con la realizzazione di un progetto; al contrario, prosegue e si arricchisce nel tempo attraverso tante e complesse pratiche di verifica, valutazione, analisi dell’impatto e costruzione della sostenibilità. Queste costituiscono il momento in cui le intenzioni progettuali vengono confrontate con la realtà, dove ciò che è stato pensato viene osservato, interrogato e perfezionato alla luce delle esperienze concrete di chi fruisce del museo.
La verifica assume la forma di un ascolto costante e attento: non si limita a controllare che tutto funzioni secondo un piano prestabilito, ma osserva come le persone partecipano, come interagiscono con gli spazi, i percorsi e i contenuti, quali ostacoli incontrano e quali opportunità emergono. La verifica diventa quindi un atto di cura e di responsabilità verso le comunità coinvolte: è un modo per comprendere se il museo, così come progettato, risponde realmente ai bisogni e alle aspettative di chi lo abita.
La valutazione, vista in chiave partecipata, amplifica questa prospettiva. Non si tratta solo di misurare indicatori numerici o risultati concreti, ma di creare uno spazio di confronto collettivo. Coinvolgere utenti, operatori, educatori e stakeholder significa riconoscere i risultati raggiunti, discutere criticità, riflettere sugli errori e immaginare insieme possibili miglioramenti. In questo senso, la valutazione diventa un momento di crescita condivisa, in cui si misurano non solo l’efficacia del progetto, ma anche la qualità delle relazioni instaurate, il grado di partecipazione e l’apprendimento collettivo che ne deriva.
L’impatto di un progetto accessibile si estende ben oltre i numeri o le presenze registrate. È soprattutto un cambiamento culturale e sociale: implica la trasformazione degli sguardi, dei linguaggi, delle pratiche istituzionali e, più in generale, della percezione dell’accessibilità come valore comune. Un progetto ha un vero impatto quando contribuisce a generare benessere collettivo, rafforzare la coesione sociale e aprire nuove opportunità di apprendimento, facendo sentire le persone protagoniste attive della vita culturale del museo.
La sostenibilità, infine, rappresenta la capacità di far durare nel tempo ciò che è stato costruito. Non si limita alla dimensione economica, ma si misura nella tenuta delle relazioni, nella solidità delle reti di collaborazione, nella possibilità di replicare strumenti, pratiche e percorsi, e nella diffusione delle competenze acquisite. È la sostenibilità sociale e culturale che permette al museo di mantenere viva la relazione con le comunità, di trasformare la coprogettazione in una pratica continuativa, non episodica, e di consolidare la cultura dell’inclusione come valore duraturo e condiviso.
Per raggiungere questi obiettivi, è necessario un cambio di paradigma: smettere di pensare il museo ‘per tutti’ e cominciare a pensarlo ‘con tutti’. La differenza è sottile ma profondamente significativa: nel primo caso, si parte da un progetto concepito da pochi per essere fruito da molti; nel secondo, si parte dall’ascolto, dal confronto e dalla convinzione che la cultura è una costruzione collettiva, in cui le differenze non rappresentano un ostacolo, ma una risorsa da valorizzare.
La coprogettazione accessibile resta un percorso complesso e fragile, che richiede cura, dedizione e formazione continua, ma proprio per questo è una delle strade più promettenti per trasformare radicalmente il modo in cui la cultura si fa, si vive e si trasmette. In questo contesto, ogni persona può sentirsi non solo benvenuta, ma competente, ascoltata e partecipe, contribuendo a costruire musei realmente aperti, inclusivi e generativi di benessere sociale.